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L’epoca dei flussi


Buzz o non Buzz? Personalmente sto usando poco il nuovo servizio per la conversazione on line di Google: il mio social network di riferimento rimane Twitter proprio perché è il meno architettonico (su Facebook, come dicevo in altri post, ho soltanto un profilo anonimo per tenerne d’occhio l’evoluzione). Però vedo che diversi amici sono attivi su Buzz e stanno animando dei thread anche piuttosto lunghi. Vedremo se riuscirà a guadagnarsi uno spazio nelle abitudini degli utenti a scapito magari di Friendfeed, il social media che più gli somiglia a che è stato peraltro acquistato lo scorso anno da Facebook.

Quella fra Google e Facebook sembra del resto la nuova “guerra fredda” del web: secondo Steve Rubel, fra i maggiori esperti di global media, Google avrebbe varato Buzz proprio per difendere la G-mail (nella quale Buzz è integrato) dall’avanzata dei servizi di posta elettronica di Facebook. Ne parla in questo interessantissimo post dove spiega proprio i termini di questa sfida all’ultimo utente. Lui intanto, per non sbagliare, ha inserito nel suo blog anche l’invito a seguirlo su Buzz con un’icona che campeggia proprio sopra quella di Facebook.

Ma la tendenza più evidente, al di là della fortuna di ogni singolo servizio, è quella che guarda alla gestione dei flussi di contenuto. Gli utenti infatti non si limitano a creare il proprio profilo all’interno di un determinato social media, configurano piuttosto una serie di profili su diversi servizi on line. Possono così distribuire i propri contenuti (utilizzando i Feed Rss, di cui parleremo magari una volta a lezione) nella ramificazione del social network per sottoporli alle dinamiche della conversazione. Una vera e propria struttura rizomatica (per recuperare l’immagine coniata negli anni Settanta dai filosofi francesi Gilles Deleuze e Félix Guattari) che rappresenta le relazioni sociali dell’autore, la dinamica permanente del suo peer to peer. Così da un blog (ma il discorso non cambia se agiamo in una testata giornalistica) è possibile diramare contenuti che si flettono a seconda dei media sociali su cui viaggiano: si possono rilanciare all’ampia platea di Facebook per generare delle dinamiche virali, postare sottoforma di micropost all’interno di Twitter, se ne possono evidenziare i contenuti visivi su Flickr o Youtube… e presentare su Friendfeed, Buzz e altre reti di questo genere per animare dei commenti. Qualcosa di simile, come ricorda il sociologo catalano Manuel Castells, accade nelle città moderne: lo spazio urbano diventa sempre più luogo di flussi, forse nel web si replica questa logica che rappresenta un tratto distintivo della civiltà contemporanea.

Ma come cambia il senso della relazione passando da un medium all’altro? Che cosa comunicano gli utenti circa la propria disponibilità a procedere verso la conversazione immediata, quella che simula meglio il “discorso prototipico” della socialità fisica? Si ripropone il tema, a me caro, del “salto di medium” come dinamica che determina il senso dell’esistenza in rete.

(L’immagine è tratta da Digimag, una rivista on line che si occupa di arti visive e nuovi media, in particolare da questo articolo che racconta un evento di Marianne Weems)