bicicletta digitale

Navigare green in rete e nei territori

Quello ambientale è un turismo intrinsecamente innovativo. Rappresenta anzi un vero e proprio driver per il futuro di un comparto in difficoltà non soltanto a causa delle avverse condizioni meteorologiche che hanno funestato l’estate 2014, con le piogge al di sopra della media che hanno scoraggiato la frequentazione di molte località balneari provocando un calo delle presenze superiore al 30% sulle spiagge e all’incirca del 20% nelle località di montagna (secondo Assoviaggi-Confesercenti), tanto da spazzare via circa 400 milioni di fatturato. Il dato, sia chiaro, deve farci riflettere perché dimostra come il cambiamento climatico, con le anomalie meteorologiche che comporta, presenta il conto anche in questi termini, nella fruibilità di molti territori a vocazione turistica sui quali si abbattono i fenomeni estremi. La pressione antropica poi fa il resto, come abbiamo purtroppo constatato dieci giorni fa sul Gargano, dove le conseguenze delle precipitazioni sono state aggravate, in particolare sul versante settentrionale del promontorio, dallo sfruttamento incontrollato del suolo e dalla fragilità idrogeologica complessiva del sistema.

Ma la crisi del comparto turistico in Italia, al di là del rischio ambientale che interessa a macchia di leopardo e con sempre maggiore frequenza i diversi territori, ha una matrice evidentemente diversa, che chiama in causa la maniera stessa di raccontarsi dell’Italia. È vero, c’è la depressione economica che ha provocato già da qualche anno il crollo della domanda interna, scarsamente compensata da quella esterna. E forse durante la stagione appena trascorsa, oltre al meteo, ci ha messo lo zampino anche il conflitto fra Russia e Ucraina che ha inibito le partenze da quelle aree che avevano rappresentato, durante le ultime stagioni, una boccata d’ossigeno soprattutto per le regioni adriatiche del nostro paese, in particolare per la riviera romagnola. Se ci limitassimo però ad un’analisi di tipo congiunturale difficilmente coglieremmo le reali cause di una flessione che prosegue ormai da diversi anni e soprattutto quali potrebbero essere le vie d’uscita da questa situazione di stallo. Porto alcuni dati, che derivano dall’ultimo rapporto “Ecotur” a cura del professor Tommaso Paolini e presentato in primavera che coinvolge Istat, Enit ed Università dell’Aquila (Leggi la versione completa). Ebbene, mentre il turismo tradizionale fra il 2012 e il 2103 ha perso il 3,5% delle presenze con un calo del 9,5% sul fatturato complessivo, quello naturalistico e ambientale ha guadagnato l’1,48% delle presenze ed un buon 4,1% di fatturato. Le presenze generate dal cosiddetto “turismo-natura” in Italia superano ormai quota 101 milioni, producendo un fatturato di 11,378 miliardi di euro. Le zone ad alto pregio ambientale, come i parchi, rappresentano un importante elemento di richiamo con il Parco nazionale d’Abruzzo che costituisce con il 21% l’area protetta più frequentata dal mercato interno seguito dalle Dolomiti Bellunesi (11%) e dalle Cinque Terre (9%). Per i turisti stranieri invece sono le Cinque Terre (25%) il parco di maggior richiamo seguite dalle Dolomiti Bellunesi (20%) e dall’Appennino Tosco-Emiliano (9%). Cresce in particolare l’incidenza del mercato esterno che è passato dal 38% al 40,2% e questo non è un particolare di poco conto visto che un turista straniero spende mediamente 100 euro al giorno a fronte dei 65 di un italiano.

Rappresentano o no queste cifre un indicatore su cui riflettere per capire come si rilancia l’offerta di accoglienza del paese? Mentre il modello del turismo di massa, analogamente ai media di massa, si ridimensiona, quello dell’esperienza in natura, dell’esplorazione su scala individuale – se volete anche introspettiva ed esistenziale – guadagna terreno e questa è una dimensione assai coerente con la narrazione collaborativa, distribuita ed emozionale che può generare il social network. I nuovi media diventano inoltre per questa via protagonisti di un approccio “on demand” che guarda alla pianificazione disintermediata, allo storytelling sul campo e all’orienteering digitale, a piedi o in bicicletta, alla fruizione “aumentata” del patrimonio. Certo, se il nostro comincia ad essere percepito come un paese nel quale imperversano le alluvioni e i campeggi vengono travolti dalle frane, oppure nel quale non sappiamo gestire la convivenza fra un’orsa che difende i propri cuccioli e la specie umana, come abbiamo visto in Trentino con il tragico epilogo della vicenda di Danica, il quadro si complica. Ma le potenzialità di riprofilazione dell’Italia nel mercato internazionale, grazie allo straordinario patrimonio ambientale e culturale che possiede sono considerevoli. Perché oltre a possedere la maggiore percentuale di aree protette in Europa possiamo vantare una concentrazione di beni culturali distribuiti nel territorio senza pari nel mondo oltre a diversi elementi d’attrazione che fanno riferimento alla nostra storia e alla nostra identità che credo sia superfluo in questa circostanza ricordare. L’offerta culturale anche in termini strutturali è poderosa: possediamo 3.609 musei, quasi 5.000 tra monumenti, musei e aree archeologiche; 46.025 beni architettonici vincolati; 34.000 luoghi di spettacolo; 49 siti Unesco oltre a migliaia di festival ed iniziative culturali. E gli indicatori, conferma Federculture, si confermano incoraggianti con una spesa complessiva nel turismo culturale che raggiunge i 12,7 miliardi, pari al 30% dell’industria turistica nazionale.

Un’eventuale strategia di marketing pubblico a sostegno del turismo nel nostro paese migliora dunque la propria efficacia se utilizza da una parte delle modalità tecnologiche innovative, interpretando al meglio le caratteristiche d’immediatezza e globalità dei nuovi media. Ma acquista di senso se dall’altra compie un’esplicita scelta di contenuto investendo sui segmenti più innovativi del brand Italia, quelli maggiormente orientati alla valorizzazione dei territori di pregio, alla “qualità totale”, come si diceva una volta in ambito industriale, della nostra offerta che porta a sintesi bellezza del paesaggio, enogastronomia tipica, beni culturali diffusi, manifattura d’alta gamma che rende lo shopping in Italia assai diverso da quello globalizzato che si pratica a New York, soprattutto comunità accoglienti e dialoganti, tutto all’interno di un macro-distretto dalla morfologia inconfondibile.

Il pubblico che guarda in questa direzione d’altro canto aumenta sempre di più. Ci soccorre la ricerca realizzata da un soggetto leader nel turismo digitale che ha evidentemente visto lungo in questa direzione, cogliendo il nesso fra innovazione mediale e avvento di una nuova sensibilità fra gli utenti che personalizzano l’esperienza del viaggio utilizzando i servizi on line. Un recente sondaggio di TripAdvisor ha rivelato infatti una crescente richiesta di scelte green da parte dei viaggiatori europei, con più di un quarto (26%) di loro che dichiara ad aver fatto scelte di viaggio eco-friendly negli ultimi 12 mesi e un terzo (33%) che pianifica di farne durante i 12 mesi successivi. Il sondaggio ha anche mostrato come quasi un viaggiatore europeo su dieci (9%) abbia scelto di soggiornare in uno specifico hotel per le sue pratiche eco-sostenibili. Tuttavia, quasi la metà (44%) ritiene che gli hotel non forniscano abbastanza informazioni sulle pratiche di sostenibilità ambientale adottate e questo conferma il gap di comunicazione su questo terreno da parte degli operatori. Non a caso Tripadvisor ha lanciato dal 2013 negli Stati Uniti, pochi mesi fa anche in Europa e in Italia grazie alla collaborazione con Legambiente il programma EcoLeader grazie al quale i viaggiatori possono personalizzare la ricerca degli hotel che partecipano a questo programma visualizzando una lista dettagliata delle pratiche eco-sostenibili adottate da ogni struttura. La comunità di viaggiatori è inoltre invitata a commentare le credenziali green di ogni hotel a seguito del soggiorno consolidando – o ridimensionando – la reputazione di ogni struttura.

La scommessa è strategica anche perché intorno a noi, nel turismo come nell’energia, nei modelli di convivenza, nell’utilizzo dei media, nel consumo alimentare, nei bisogni di mobilità delle persone – tutti ambiti nei quali “Stati generali dell’innovazione” è vigile e cerca di accompagnare il cambiamento – le condizioni al contorno si modificano a velocità esponenziale, quasi in osservanza alla legge di Moore che regola l’escalation nella performance dei processori. Le posizioni di rendita, anche nella reputazione del brand Italia, non sono più praticabili in uno scenario a complessità crescente, basti pensare che nell’ultimo indice elaborato da Futurebrand perdiamo ben cinque posizioni rispetto al 2011, scendendo al 15° posto. Secondo l’Organizzazione mondiale del turismo inoltre l’Italia è fuori dal podio dei paesi a maggiore attrazione dopo Francia, Stati Uniti, Spagna e Cina. Nel frattempo nuovi bacini di provenienza modificano i flussi turistici globali. Oltre alla Russia corteggiata dagli operatori della riviera c’è la nuova classe media che arriva dall’India, dalla Cina, dal Brasile. Complessivamente, avverte uno studio a cura di Marco Lombardo per Euromonitor presentato pochi mesi fa a Roma durante un convegno del Formez, i viaggi che prevengono da questi paesi nel 2013 valgono 107 miliardi di euro ma al 2017 il loro valore salirà a 190 miliardi di fatturato. Al momento siamo la terza meta preferita in Europa dai viaggiatori che provengono dalla Russia, dopo Germania e Spagna; la quarta dai viaggiatori che arrivano dalla Russia, dopo Germania, Francia e Austria; la quarta – e questo mi sembra il dato più critico – per i brasiliani che fra i paesi esaminati dalla ricerca sono quelli maggiormente orientati al turismo culturale, dopo Francia, Spagna e Portogallo. I margini di miglioramento, insomma, non mancano. Come coglierli?

Il primo passo, scriveva René Daumal nel celebre romanzo Il Monte Analogo, dipende dall’ultimo. Se vogliamo intavolare attraverso il web una nuova narrazione dell’Italia dobbiamo sapere qual è il punto d’arrivo, l’oggetto di valore diremmo in semiotica verso il quale tendere, perché senza una bussola qualsiasi navigazione, in rete o nei territori, rischia di essere dissipativa. Quel passo, da cui dipende il primo, consiste nel valorizzare la proposta ambientale e culturale del nostro paese al cospetto del pubblico di nuova generazione che si affaccia sul mercato globale del turismo. E quali potrebbero essere allora i vettori di questo messaggio? I territori stessi, a parer mio, le comunità locali che possiedono il know how di conoscenza dei luoghi, un po’ come avviene off line con l’esperienza dei “greeters” nata qualche anno fa negli Stati Uniti, sbarcata in Europa e adesso presente anche in Italia sempre grazie allo stimolo di Legambiente, con un gruppo di attivisti a Napoli che accompagna i visitatori alla scoperta di alcuni quartieri in una forma assai diversa da quanto potrebbe fare qualsiasi tour operator. È questa dimensione collaborativa – che integra quella frontale dei media novecenteschi – forse la chiave più coerente per rilanciare la sfida dell’Italia, fuori e dentro il web, cercando di rendere le comunità locali, gli operatori e i visitatori protagonisti di una conversazione che costruisca legami e restituisca valore alla nostra peculiarità sociale, ambientale ed economica. Dunque alla nostra antropologia che rappresenta il patrimonio più importante – nel turismo e non solo – a disposizione del paese.

Marco Fratoddi, Direttore de “La Nuova Ecologia”, segreteria nazionale di Legambiente, direttivo di Stati generali dell’Innovazione

(L’intervento è stato esposto a Bari, Fiera del Levante, durante il convegno “Il turismo digitale per la valorizzazione dei territori” organizzato da Stati generali dell’Innovazione e Wister, 15 settembre 2014)

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