Sos tartarughe, in mare è emergenza plastica

 

IL COMUNICATO DEL WWF 

Sos tartaruga: non solo reti e ami, eliche e spiagge invase dal cemento: la plastica è un altro nemico che soffoca le tartarughe marine e per salvare gli animali in difficoltà recuperati dal mare e destinati ai Centri di recupero ogni minuto è prezioso. Uno studio su oltre 560 tartarughe marine “Caretta caretta” che vivono nel Mediterraneo centrale ha mostrato la presenza di frammenti e resti di plastica nell’80% degli animali. Alcuni esemplari avevano ingerito fino a 170 frammenti. La presenza di plastica sulle spiagge può compromettere anche le nidificazioni: la sabbia in cui mamma tartaruga depone le sue uova, in presenza di frammenti di plastica non mantiene la stessa umidità e modifica la temperatura, con ripercussioni sullo sviluppo e la schiusa.

L’ultimo report del WWF “Mediterraneo in trappola” ha evidenziato come il Mare Nostrum sia un bacino, semichiuso e piccolo, con le più elevate concentrazioni, il 7%, di microplastica presente negli oceani del pianeta. Il WWF ha anche lanciato in Italia una Petizione con quattro richieste per liberare l’ambiente dall’invasione della plastica.

La plastica in mare si aggiunge ad altri rischi per le tartarughe: resta, infatti, alta anche l’allerta per la pesca accidentale e l’impatto con le imbarcazioni, oltre all’invasione di cemento sui lidi sabbiosi e il cambiamento climatico. La mortalità per queste specie nel Mediterraneo è stimata intorno ai 40.000 individui, un dato che segnala l’urgenza di salvaguardia per questi animali che ogni 16 giugno vengono  festeggiati con una  Giornata Mondiale in onore di Archie Carr, grande studioso di tartarughe nato appunto in questa data.

 

DICHIARAZIONI

Donatella Bianchi, presidente del Wwf Italia

Abbiamo invaso il Pianeta Blu con gli scarti dei nostri ‘stili di vita’ rendendo la vita di cetacei, tartarughe marine e altri animali sempre più difficile. Il minimo che possiamo fare è non  solo  cambiare le nostre abitudini, ma anche prenderci cura e restituire la libertà agli animali intrappolati, impigliati negli ami o nelle reti, soffocati e malati per colpa della nostra insostenibilità. È fondamentale l’aiuto di tutti per proteggere queste specie che abitano il mare prima ancora dell’Homo sapiens perché il futuro dei mari dipende anche dal buono stato di salute degli esseri viventi che lo popolano.

Frans Timmermans, primo vicepresidente responsabile per lo sviluppo sostenibile

Se non modifichiamo il modo in cui produciamo e utilizziamo le materie plastiche, nel 2050 nei nostri oceani ci sarà più plastica che pesci. Dobbiamo impedire che la plastica continui a raggiungere le nostre acque, il nostro cibo e anche il nostro organismo. L’unica soluzione a lungo termine è ridurre i rifiuti di plastica riciclando e riutilizzando di più. Si tratta di una sfida che i cittadini, le imprese e le amministrazioni pubbliche devono affrontare insieme. Con la strategia dell’UE sulla plastica stiamo inoltre propugnando un nuovo modello di economia più circolare. Occorre investire in nuove tecnologie innovative che proteggano i nostri cittadini e mantengano il nostro ambiente sicuro, senza farci rinunciare alla competitività della nostra industria.

 

LA RICERCA DEL WWF

http://www.wwf.it/plastica_nel_mediterraneo.cfm?utm_source=wwf.it&utm_medium=Landing&utm_campaign=CampagnaMare2018&utm_source=web&utm_medium=social&utm_campaign=GenerazioneMare

 

LO STUDIO SCIENTIFICO SULLE TARTARUGHE MARINE

https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0025326X16304611?showall%3Dtrue%26via%3Dihub

 

L’INIZIATIVA EUROPEA CONTRO LA PLASTICA MONOUSO

http://europa.eu/rapid/press-release_IP-18-3927_it.htm

 

UN APPROFONDIMENTO DI LEGAMBIENTE

Il rischio delle plastiche in mare non è legato solo alla loro presenza e agli effetti che hanno sulla fauna marina, ma soprattutto al fatto che possono anche veicolare sostanze tossiche che vi si accumulano. Questa la principale conferma che arriva dallo studio sperimentale realizzato da Legambiente, in collaborazione con l’Università di Siena - progetto Plastic Busters (UfM – SDSN), sui rifiuti di plastica galleggianti in mare (in particolare buste, teli e fogli di plastica, oggetti del campionamento) e sulle sostanze contaminanti come organoclorurati (PCB, DDT, HCB) e mercurio.

I risultati dello studio sono stati diffusi oggi, giovedì 7 giugno, alla vigilia della Giornata mondiale degli oceani. I risultati, seppure preliminari, tracciano una quadro complessivo poco roseo per il mare italiano. Il dato più importante che emerge riguarda la presenza di sostanze inquinanti: su tutti i campioni analizzati sono presenti contaminanti come mercurio, policlorobifenili (PCB), DDT ed esaclorobenzene (HCB). La concentrazione di queste sostanze varia in base all’area di campionamento, la natura del polimero, il grado di invecchiamento del rifiuto. Il campionamento ha riguardato una sola tipologia di plastiche galleggianti le “sheetlike user plastic” (buste, fogli e teli), che rappresentano la frazione più abbondante del marine litter. A confermarlo anche i dati raccolti da Goletta Verde nel 2017, durante la navigazione lungo le coste italiane, affiancata dai ricercatori del progetto MEDSEALITTER che prevede la sperimentazione di metodologie per l’osservazione dei rifiuti galleggianti, con l’obiettivo di sviluppare protocolli comuni per la quantificazione del marine litter. Buste, teli e fogli di plastica, costituiscono il 65% dei rifiuti galleggianti monitorati e avvistati nel 2017 dall’imbarcazione ambientalista. Il 25% di questi è stato trovato nell’Adriatico centrale.

“I dati dimostrano con evidenza che il rischio connesso con i rifiuti plastici presenti nell’ambiente marino non deriva solo dalla loro presenza, ma anche e soprattutto dal fatto che fanno da catalizzatori di sostanze tossiche che finiscono poi nell’ecosistema marino, fino al rischio di entrare nella catena alimentare – dice Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente – Purtroppo, la cattiva gestione dei rifiuti a monte e la maladepurazione restano la principale causa del fenomeno del marine litter. Prevenire il fenomeno e rimuovere le plastiche che oggi sono disperse in mare e sulle spiagge è dunque una priorità, non solo per la salvaguardia ambientale ma anche per la tutela della salute”.

“I risultati prodotti, seppur parziali, dimostrano la necessità di approfondire i rischi sul biota e i possibili rischi sulla rete trofica legati alla presenza di plastiche in mare e all’accumulo di sostanze inquinanti sulla superficie dei macrorifiuti galleggianti.  – dichiara Maria Cristina Fossi, Professore ordinario di ecologia ed ecotossicologia all’Università di Siena - Un aspetto molto interessante, infatti, sarebbe quello di integrare i dati ottenuti sulla tipologia di macroplastica e i relativi dati ecotossicologici, con quelli oceanografici sulla densità dei rifiuti galleggianti nelle diverse aree analizzate. Questo consentirebbe di individuare delle aree “hot spots” per una successiva analisi di rischio, soprattutto in relazione alla possibilità che queste aree coincidano con quelle di foraggiamento delle specie marine, come ad esempio le tartarughe marine.”

I rifiuti analizzati dai ricercatori dell’Università di Siena sono stati raccolti e campionati da Goletta Verde di Legambiente l’estate scorsa durante la navigazione lungo la Penisola. Per ogni campione, l’equipaggio dell’imbarcazione ambientalista ha preso la posizione GPS, scattato foto, compilato una scheda di campionamento, ed eseguito una procedura di raccolta e conservazione come previsto dal protocollo indicato dell’Università di Siena. I ricercatori, Cristina Panti e Matteo Baini, hanno poi effettuato le varie analisi in laboratorio. Qui la composizione polimerica di ciascun campione è stata valutata tramite la tecnica di spettrometria ad infrarossi. Dall’analisi è emerso che l’86% delle macroplastiche analizzate è costituito da polietilene (PE) e il 14% da polipropilene. Per quanto riguarda l’analisi dei contaminanti organoclorurati e del mercurio identificati sulle microplastiche galleggianti, dallo studio emerge, inoltre, che tutti i campioni hanno presentato livelli apprezzabili di questi contaminanti. I dati dimostrano un accrescimento delle concentrazioni con la permanenza in mare in una prima fase e una successiva diminuzione con l’invecchiamento: probabilmente, con l’avanzare dei processi degradativi a cui va incontro la plastica una volta in mare, essa rilascia parte del carico di contaminanti.

 

LA NOTIZIA DI ATTUALITA’

A Rimini la Notte rosa sarà plastic-free

L’intervista a Manuela Fabbri e Annamaria Barillari

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