Intorno al concetto di testo si è detto molto. Sta proprio qui, infatti, l’oggetto privilegiato di conoscenza degli studi in semiotica: nel testo inteso come terreno di negoziazione del senso fra chi enuncia il discorso e il suo interlocutore, come manifestazione empirica di un procedimento più o meno intenzionale che ha radici molto profonde e che si avvale di molteplici sostanze dell’espressione. Andiamo ben oltre perciò la definizione tradizionale che si basa appunto sull’etimologia latina del “textus” (participio passato dell’infinito “texere”) in quanto “tessuto” di parole, intreccio esclusivamente riferito al significante lineare. Ampliamo lo sguardo, possiamo intendere come testo una pagina ricoperta di segni alfabetici e rilegata insieme a molte altre in un volume ma anche brani musicali o scampoli di paesaggio, servizi del telegiornale, performance artistiche, la piazza del paese o un sito web. Entra in campo, seguendo questa progressione, l’idea di “semiosfera” a rappresentare, analogamente alla biosfera, il sistema di segni in equilibrio dinamico al cui interno avviene la semiosi, vale a dire l’attribuzione di significato alle sollecitazioni della realtà. È il concetto che introduce, nel secondo Novecento, il semiologo russo Juri Lotman e che ci aiuta a cogliere la nostra esistenza come un esercizio ininterrotto di semiosintesi, se posso spendere un neologismo ispirato anch’esso alla dimensione naturale.
Ne parliamo durante le prime lezioni al corso di Scrittura giornalistica in cui sono impegnato al Dipartimento di lettere dell’Università di Cassino, fra esercitazioni pratiche (oggi pomeriggio quella sugli “attacchi vincenti”) e sguardi di taglio teorico sui processi mediali e cognitivi. La nostra produzione da narratori che s’ispirano ai fatti della realtà, vale a dire da giornalisti, s’inquadra del resto in una dinamica più ampia che c’invita a osservare la comunicazione dal punto di vista dell’altro. Individuiamo perciò insieme ai semiologi Paolo Fabbri e Gianfranco Marrone, autori di “Semiotica in nuce” (Meltemi, 2000, volume 1), il testo come qualunque porzione di realtà:
a) che sia dotata di significato per qualcuno; b) di cui si possano definire chiaramente i limiti, per cui si riesca a distinguere il testo da tutto ciò che ne sta fuori; c) che si possa scomporre in unità discrete, secondo più livelli gerarchici di analisi, che vanno dal più concreto e superficiale al più astratto e profondo; d) che questa scomposizione segua criteri oggettivabili.
E la notizia? È la domanda che farò domani mattina entrando in aula… Ne riparleremo
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